Intervista con El Moplo

El moplo

Anclao en Paris, è il titolo di un bellissimo libro scritto da Enrique Cadicamo che racconta della permanenza di Gardel a Parigi. Quella che segue è un testo di Saúl Cascallar - Intervista a La Maga, 1996 - trad. Marco Castellani

ANCLAO EN PARIS

Questo tango reso celebre da Gardel ci racconta di quanto fosse duro l’esilio di un argentino “ancorato” nella Montmartre degli anni 20: la neve sui davanzali, le luci rossicce, il tono morente, niente soldi, nessuna fede, le pugnalate della nostalgia. Eppure, assai peggiore può essere l’esilio di un musicista argentino a pochi metri dal Molo Sur.

Nel giugno 1955, ultimo periodo di Perón, i militari intrapresero la cosiddetta Operazione Cardenal che vide l’arresto di massa di comunisti e oppositori di sinistra. Il più famoso tra noi, Osvaldo Pugliese, era da poco uscito di galera. Tutti, Pugliese compreso, furono portati sulla nave Paris. Questa, più che una nave era un grosso battello in disuso ormeggiato nel porto di Buenos Aires. Allo scopo di vanificare le manifestazioni di solidarietà della gente con i detenuti, i militari levarono le ancore e trainarono la Paris nel punto più profondo del Rio de la Plata. Dopo qualche giorno si cominciò a vociferare che la dittatura avesse intenzione di affondare il battello nel canale Arias, con dentro tutti i prigionieri. Era una situazione di grande incertezza. Le voci si rincorrevano e il fantasma dell’affondamento era sempre presente. All’inizio, i detenuti erano tenuti incatenati nella stiva con l’acqua fino alle ginocchia. Ma le misure di sicurezza, man mano che passava il tempo, si andavano allentando. Fu proprio Pugliese a romperle definitivamente. Come era già successo nel carcere di Devoto, molti sorveglianti erano ammiratori del Maestro e non perdevano occasione per avvicinarlo e scambiare due parole sul tango. Devo dire che alcuni di loro addirittura si vergognavano di tenerlo recluso, tanto che, di nascosto ai superiori, sistemarono alla bell’e meglio un vecchio pianoforte abbandonato nella sala ufficiali. Magari sognavano di sentire “La Yumba”... I detenuti insistettero molto e così Pugliese andò su a suonare. Le ore passavano lentamente tra quei tanghi preziosi e le solite discussioni politiche. Poi ci fu un giorno, un giorno certamente indimenticabile, in cui i compagni sentirono che il loro destino era il fondo del fiume. Nessuno più dubitò, mio fratello, Pugliese, tutti gli altri: i militari avrebbero di sicuro colato a picco la Paris con tutto il suo carico. La confusione fu enorme, a molti mancò il coraggio di resistere. Allora Osvaldo suonò apposta per loro. In quell’ora terribile in cui i compagni sapevano che stavano per morire, quando tutti erano sopraffatti dall’emozione degli ultimi momenti, ecco che Pugliese si mette a suonare l’Inno Nazionale e, subito dopo, L’Internazionale. Dicono che mai si ascoltò qualcosa di simile: quegli inni avevano la tragedia e la forza dell’ultima esecuzione. Quel giorno, tutta la nave cantò e molti piansero senza più nascondere le lacrime.